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Il licenziamento disciplinare tra astrazione e concretezza





Nell’ultimo decennio, il parlamento ha più volte modificato il quadro normativo che regola le ipotesi e limiti delle conseguenze sanzionatorie del licenziamento. Pertanto, spesso risulta complesso per le imprese comprendere se la scelta di interrompere un rapporto di lavoro sia conforme ai precetti giuridici in materia. La Corte di Cassazione ha fissato alcuni principi che possono rivelarsi utili indicatori per gestire in modo adeguato una procedura di licenziamento. In particolare, la Suprema Corte ha rilevato che in materia di licenziamento disciplinare, ai fini della valutazione circa la legittimità del recesso, non è possibile valutare l’addebito disciplinare in astratto, ma è necessario esaminare alcuni aspetti concreti quali: a) le condotte rilevanti sul piano disciplinare tipizzate dalla contrattazione collettiva; b) l’intensità dell’elemento intenzionale; c) il grado di affidamento richiesto dalle mansioni; d) le precedenti modalità di attuazione del rapporto; e) la durata del contratto; f) l’assenza di sanzioni pregresse; g) la natura e la tipologia del rapporto medesimo (cfr., Corte di Cassazione n. 35581 del 19 novembre 2021).


A tale riguardo, al fine di ridurre i rischi di contenziosi, una soluzione che il datore di lavoro potrebbe adottare per tutelarsi dinanzi anche a fatti che possono essere valutati dal giudice di merito come futili e non passibili di licenziamento, è quella, per esempio, di inserire nel codice disciplinare che anche i furti di lieve entità o la merce prelevata senza autorizzazione, a prescindere dalla quantità, può dar luogo ad un licenziamento disciplinare.


Avv. Guido Brocchieri


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