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Licenziamento collettivo e calcolo del limite dei cinque recessi



In merito al calcolo del limite dei cinque recessi nell’arco di 120 giorni previsto in tema di licenziamenti collettivi, la Corte di Cassazione, con sentenza del 31 maggio 2021, n. 15118, ha precisato che per valutare la sussistenza dell’obbligo di attivare la procedura di licenziamento collettivo, non si deve tener conto della “intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo” ex art. 7 della Legge 15 luglio 1966, n. 604 che disciplina i licenziamenti individuali (“Legge 604”) di cui alla procedura di conciliazione dinanzi alla direzione territoriale del lavoro. Tale intenzione non può infatti ritenersi di per sé un licenziamento.


Giova precisare che ai sensi dell’art. 7 della Legge 604 il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, qualora previsto da un datore di lavoro avente alle proprie dipendenze più di quindici dipendenti, deve essere preceduto da una comunicazione del datore di lavoro alla competente direzione territoriale del lavoro, e trasmessa per conoscenza al lavoratore interessato. In detta comunicazione, il datore di lavoro deve dichiarare l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare le ragioni del licenziamento medesimo nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.


La controversia decisa dalla Suprema Corte nasce dal ricorso presentato da una lavoratrice che lamentava di essere stata licenziata in tronco, per pretese ragioni oggettive. In particolare, la lavoratrice deduceva che subito dopo il suo licenziamento, il datore di lavoro aveva attivato, per le stesse motivazioni, numerose procedure di licenziamento ex art. 7 della Legge 604 Specificamente, nell’arco di 120 giorni, le lettere di licenziamento o di convocazione avanti alla direzione territoriale del lavoro erano state in tutto nove e, quindi, la società avrebbe dovuto attivare una procedura di licenziamento collettivo.


In primo grado, il Tribunale respingeva tutte le domande proposte dalla ricorrente. Successivamente, però, la Corte d’Appello, avendo qualificato il licenziamento della lavoratrice come licenziamento collettivo e accertato l’illegittima omissione da parte della società datrice di lavoro della procedura di licenziamento collettivo (art. 24, comma 1 quinquies, della legge 23 luglio 1991, n. 223 - “Legge 223”), condannava la medesima a pagare alla lavoratrice un’indennità pari a 18 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.


Al riguardo va osservato che in conformità a quanto previsto dall’art. 24 della Legge 223 il datore di lavoro che - occupando alle proprie dipendenze più di quindici dipendenti - intenda effettuare almeno cinque licenziamenti nell'arco di centoventi giorni, deve darne preventiva comunicazione ai sindacati.


La Suprema Corte ha posto in evidenza il fatto che l’espressione “intenda effettuare almeno cinque licenziamenti, nell’arco di centoventi giorni” ex art. 24 della Legge 223, è una chiara manifestazione della volontà di recesso, pur necessariamente ancorata al fatto che i licenziamenti non possono essere intimati se non successivamente all’iter procedimentale previsto dalla Legge 223.


Cosa ben diversa è invece l’espressione “deve dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo” ex art. 7 della Legge 604 di cui alla comunicazione alla direzione territoriale del lavoro prevista per attivare la procedura di conciliazione dinanzi a detta direzione, in quanto, come detto, tale intenzione non integra di per sé una fattispecie di licenziamento.


Avv. Guido Brocchieri


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