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Licenziamento disciplinare - Sanzioni tipizzate nel contratto nazionale collettivo di lavoro



La Corte di Cassazione ha affermato che, ai fini della valutazione del recesso del datore di lavoro, il giudice non è vincolato dalle condotte tipizzate nel CCNL. Infatti, dopo aver accertato la sussistenza di una causa giustificativa del licenziamento, il giudice è tenuto a valutare concretamente il fatto e la sua proporzionalità rispetto alla sanzione irrogata dal datore di lavoro.


A tale riguardo, la Corte di Cassazione ha statuito che anche quando si riscontri la corrispondenza del comportamento del lavoratore alla fattispecie tipizzata contrattualmente come ipotesi che giustifica il licenziamento disciplinare, stante la fonte legale della nozione di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, deve essere effettuato in ogni caso un accertamento in concreto che prenda in considerazione la gravità del comportamento e la proporzionalità tra lo stesso e la sanzione espulsiva irrogata.


Più precisamente, in un caso di licenziamento disciplinare per ripetuti episodi di negligenza di una lavoratrice, la Corte ha cassato la decisione dei giudici di appello che avevano dichiarato legittimo il licenziamento irrogato al dipendente, richiamando la propria giurisprudenza secondo la quale le ipotesi tipizzate di licenziamento non sono vincolanti in senso sfavorevole al lavoratore. Invero, il giudice deve per legge altresì valutare la gravità in concreto del comportamento censurato, nei suoi profili oggettivi e soggettivi, nonché la proporzionalità della sanzione espulsiva applicata (Cass. 12 novembre 2021, n. 33811).


Avv. Guido Brocchieri


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