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L’evasione fiscale ed i rapporti con il reato di bancarotta fraudolenta



Con la sentenza n. 1556/2020, la Corte di Cassazione ha ribadito che la sistematica condotta di evasione fiscale può portare alla configurazione del reato di bancarotta fraudolenta, in particolare nell’ipotesi in cui il fallimento sia causato da operazioni dolose ex art. 223, comma 2, n. 2, Legge Fallimentare.


Le condotte punibili penalmente come bancarotta ai sensi della legge Fallimentare possono essere molteplici.


Una prima fattispecie è prevista dall’art. 216 della Legge Fallimentare, ai sensi del quale è punibile l’imprenditore, dichiarato fallito, che abbia “distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato” in tutto o in parte il patrimonio aziendale, o che abbia “sottratto, distrutto o falsificato” le scritture contabili, in danno dei creditori.


Tali condotte sono attribuibili anche, ai sensi dell’ articolo 223 della Legge Fallimentare, “agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite (…)”.

In particolare, ai sensi del secondo comma dell’art. 223 L.Fall., è prevista una ulteriore ipotesi di reato, in base alla quale “si applica alle persone suddette la pena prevista dal primo comma dell’articolo 216 se (…) hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società.”


A tal proposito, appare importante sottolineare che la giurisprudenza di legittimità ha specificato che la nozione di “operazioni dolose”, ricomprenda tutti quei comportamenti che, compiuti dagli organi amministrativi della società ponendo in essere singoli atti o singole azioni, con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti la loro qualità, comportino, complessivamente considerati, un pregiudizio patrimoniale dell’impresa tale da provocarne un forte dissesto economico - finanziario.


Sempre la Cassazione ha specificato che “la nozione di "operazione" postula una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato, e che deve ritenersi sussistente il reato di cui alla L.Fall., articolo 223, comma 1, quando siano realizzati atti di disposizione dei beni societari caratterizzati, secondo una valutazione "ex ante", da manifesta ed intrinseca fraudolenza, in assenza di qualsiasi interesse per la società amministrata” (Cass., Sez. V Penale, sent. n. 12945/2020).


In altre parole, dalla giurisprudenza si ricava che possono rientrare nella nozione di “operazioni dolose” anche quelle singole operazioni che, pur senza essere direttamente ed immediatamente produttive di danno, siano comunque tali da creare i presupposti di un prevedibile dissesto.


Infatti, sotto il profilo del dolo, la Suprema Corte ha precisato che per la configurazione di tale reato, non è necessaria l’intenzione di causare direttamente il fallimento della società in danno dei creditori, poichè si ritiene sufficiente la possibilità che, in seguito alla condotta antigiuridica, posta in essere per ottenere un ingiusto profitto, sia semplicemente prevedibile un grave dissesto economico dell’impresa.


In merito all’evasione fiscale, in particolare, il giudice di legittimità ha stabilito che una ingiustificata, sistematica e protratta condotta di evasione fiscale, provocando una sovraesposizione debitoria nei confronti dell’Erario, rende prevedibile il dissesto della società e può essere qualificata come “operazione dolosa”, ex art. 223 Legge Fallimentare.


Con il termine “ingiustificata” si vuole sottolineare come non ogni condotta di evasione fiscale assuma rilevanza ex art. 223 L. Fall.: rientrerà nell’alveo delle “operazioni dolose” quella condotta che si sostanzi in una consapevole e volontaria scelta di non assolvere alle obbligazioni tributarie, pur potendo favi fronte, avendo la consapevolezza che un potenziale accertamento tributario possa produrre il dissesto societario.


Di conseguenza, in questa particolare ipotesi, si incorre nel rischio di una doppia imputazione: non solo per il reato di evasione fiscale ex artt. 10 ed 11 del D. lgs. 74/2000, ma anche per quello di bancarotta fraudolenta ex art. 223, comma 2, n. 2, L. Fallimentare.

I reati così contestati, inoltre, potrebbero certamente coesistere, senza intaccare il principio del “ne bis in idem”: la Corte di Cassazione, infatti, con la sentenza n. 22486/2020, ha espressamente chiarito che i reati in questione “offendono beni giuridici diversi e sono animati da un diverso fine”: la legislazione fiscale tutela la pretesa fiscale ed il buon esito delle procedure di riscossione; la legislazione fallimentare, invece, è volta alla tutela dei creditori, sia pubblici che privati, in ambito concorsuale.


Avv. Francesco Bianchi


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