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Sentenza del TAR Lazio sulla prevalenza del diritto UE sulle norme italiane confliggenti

Aggiornamento: 10 set 2021



Di recente, la politica italiana ha dibattuto possibili misure sanzionatorie atte a penalizzare società straniere che decidono di chiudere stabilimenti produttivi in Italia, per spostare la produzione in altri Paesi membri dell’Unione Europea.


Tali sanzioni si applicherebbero in particolare ad imprese straniere con un numero significativo di dipendenti, le quali, dopo aver installato in precedenza attività produttive in Italia, decidano in seguito, per motivi aziendali propri, di dismettere tali attività per riproporle in altri Paesi europei che offrano eventualmente nuove o migliori opportunità, ovvero vantaggi di carattere fiscale, burocratico, lavorativo o di qualsiasi altro tipo che non siano evidentemente vietati dalla legge.


Tali sanzioni, se la proposta normativa fosse alla fine recepita in legge, apparirebbero a prima vista in conflitto con la normativa europea, in particolare rispetto alla libertà di stabilimento prevista dall’art. 49 TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) ed alla libertà di circolazione delle merci, persone, servizi e dei capitali fissata dall’art. 26 comma 2 TFUE.


Ci si chiede pertanto se il diritto italiano possa derogare apertamente a disposizioni fondamentali contenute nei trattati europei, o vi siano divieti o restrizioni al riguardo.

La prevalenza del diritto comunitario sulle norme di diritto nazionale confliggenti è stata ribadita più volte sia a livello interno italiano (ad esempio, la storica sentenza n. 170 del 1984 della Corte Costituzionale sulla primazia del diritto comunitario; allo stesso modo, ribadendosi che l’eventuale contrasto tra la normativa interna e quella dell'Unione Europea debba comportare la disapplicazione della prima da parte di tutti i soggetti competenti, inclusi giurisdizionali e amministrativi , sentenze Corte Cost. nn. 168/91; 389/89; 113/85; 391/92; 115/93), che più volte dalla stessa CGUE-Corte di Giustizia Europea, come ad esempio con la sentenza del 9 marzo 1999 nel procedimento C-212/97, causa “Centros”, ove la CGUE si è espressa così: “Ciò considerato, il fatto che un cittadino di uno Stato membro che desideri creare una società scelga di costituirla nello Stato membro le cui norme di diritto societario gli sembrino meno severe e crei succursali in altri Stati membri non può costituire di per sé un abuso del diritto di stabilimento. Infatti, il diritto di costituire una società in conformità alla normativa di uno Stato membro e di creare succursali in altri Stati membri è inerente all'esercizio, nell'ambito di un mercato unico, della libertà di stabilimento garantita dal Trattato….….secondo la giurisprudenza della Corte, i provvedimenti nazionali che possono ostacolare o scoraggiare l'esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato devono soddisfare quattro condizioni: essi devono applicarsi in modo non discriminatorio, essere giustificati da motivi imperativi di interesse pubblico, essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo”.


Il principio della disapplicazione delle norme di diritto italiano allorché siano in evidente contrasto nei confronti di quelle di diritto comunitario, è stato con forza asserito da altre sentenze della CGUE, la quale ha infatti stabilito che il principio della primazia: “impone […] a tutte le istituzioni degli Stati membri di dare pieno effetto alle varie norme dell'Unione, dato che il diritto degli Stati membri non può sminuire l'efficacia riconosciuta a tali differenti norme nel territorio dei suddetti Stati” (CGUE 24 giugno 2019, Poplawski, C-573/17, punto 54. Nello stesso senso cfr. CGUE 26 febbraio 2013, Melloni, C-399/11, punto 59).


Anche svariate sentenze dei Tribunali Amministrativi Regionali hanno avuto modo di ribadire tale primazia del diritto comunitario su quello italiano, ed al riguardo è opportuno segnalare quella recentissima del TAR Lazio, pubblicata l’11 Agosto 2021 (n. 09364/2021 R. Prov. Coll. Sezione Terza, sul ricorso n. RG 7605 del 2020, proposto da Transnational Limousines Prevozi D.O.O, contro il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ufficio Provinciale Motorizzazione Civile Roma).


Il TAR Lazio ha avuto modo di ribadire, richiamando la sentenza Centros della CGUE, che: “Il principio ritraibile dalla pronuncia in analisi è dunque quello della salvaguardia del diritto di stabilimento sancito dall’Art 49 del Trattato, il quale si oppone a che ad una società legalmente costituita in uno stato membro e che abbia costituito una filiale in altro Stato membro dell’Unione, venga denegato il diritto di esercitare l’attività economica per la quale è stata costituita. Lo Stato ospitante può solo adottare misure volte a prevenire frodi ed elusioni, purché esse siano non discriminatorie, ispirata ad esigenze imperative, e proporzionali rispetto al fine da perseguire”; ed inoltre: “ammettere che lo Stato membro di residenza possa liberamente riservare un trattamento diverso per il solo fatto che la sede di una società si trovi in un altro Stato membro svuoterebbe di contenuto l'articolo 49 TFUE.” (richiamandosi la sentenza della CGUE, Sezione II, del 14 Maggio 2020, n. 749).


Conformemente a quanto deciso dal TAR Lazio, si possono menzionare le sentenze del TAR Campania (Napoli, Sezione III, del 06 Luglio 2016, n.3394), e del TAR Toscana (Sezione I, del 19 Marzo 2013, n. 422).


Per concludere, il TAR Lazio ha richiamato una sua precedente giurisprudenza, ribadendo che non solo le norme europee, ma altresì: “Le pronunce della Corte di Giustizia delle Comunità Europee hanno efficacia diretta nell'ordinamento interno degli Stati membri, al pari dei regolamenti e delle direttive e delle decisioni della Commissione, vincolando il giudice nazionale alla disapplicazione delle norme interne con esse confliggenti. Sussiste, infatti, un obbligo per il giudice nazionale di interpretare le norme nazionali in conformità al diritto comunitario, ovvero di procedere in via immediata e diretta alla loro disapplicazione in favore del diritto comunitario, senza dover transitare per il filtro dell'accertamento della loro incostituzionalità sul piano interno. Si tratta in sostanza del principio della prevalenza del diritto comunitario, in forza del quale deve essere disapplicata qualsiasi disposizione della legislazione nazionale in contrasto con una norma comunitaria, indipendentemente dal fatto che sia anteriore o posteriore a quest'ultima, incombendo tale obbligo di disapplicazione sul giudice nazionale e su tutti gli organi dello Stato.” (sentenza del TAR, Lazio – Roma, Sezione II, 5 Aprile 2012, n.3142).


Deriva da tutti i suddetti richiami giurisprudenziali che, anche qualora l’abbandono di realtà produttive italiane per trasferimento delle stesse in altro Paese europeo potesse risultare doloroso e traumatico per i lavoratori coinvolti, questo non potrebbe essere contrastato prevedendo sanzioni per le società straniere che decidano di trasferire tali attività per puri scopi e valutazioni imprenditoriali, qualora le sanzioni previste dalle nuove normative possano colpire solo i soggetti stranieri di maggiori proporzioni (e non applicarsi, ad esempio, ad imprenditori italiani che ugualmente vogliano trasferire all’estero la loro produzione), né siano giustificate da motivi di carattere imperativo conformi ai trattati comunitari, nonché proporzionali rispetto allo scopo del provvedimento.

Pena, in caso contrario, la nullità e necessaria disapplicazione delle norme nazionali in conflitto con quelle di diritto europeo.


Prof. Avv. Salvatore Vitale


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