Con ordinanza del 24 agosto 2021, n. 23329 la Suprema Corte ha statuito che il principio di irriducibilità della retribuzione dettato dall’art. 2103 cod. civ., opera anche in relazione a fattispecie in cui il lavoratore percepisca una retribuzione superiore a quella prevista dal C.C.N.L. rispetto alle mansioni in concreto svolte e rimaste invariate anche nelle modalità del loro espletamento, qualora il rapporto sia regolato anche dal contratto individuale, se più favorevole. Ciò anche nel caso di un rapporto di lavoro che sia stato qualificato ab origine come autonomo e sia stato poi convertito dal giudice in lavoro subordinato.
Al riguardo giova ricordare che, in conformità al principio della irriducibilità della retribuzione, la retribuzione concordata al momento dell’assunzione non è riducibile neppure a seguito di accordo tra il datore e il prestatore di lavoro (cfr., fra tutte, Cass. 17 luglio 2019, n. 19258).
Nella citata ordinanza del 24 agosto la Suprema Corte ha precisato che nel caso in cui il compenso sia stato concordato dalle parti in relazione ad un rapporto di lavoro, dalle medesime considerato autonomo, ancorché ne sia stata, poi, giudizialmente accertata la natura subordinata, il corrispettivo pattuito s’intende destinato, per concorde volontà delle stesse parti, a compensare integralmente l’opera prestata.
Né rileva il sopravvenuto accertamento giudiziale della natura subordinata di quel rapporto di lavoro. Tale accertamento, infatti, sebbene comporti il diritto del lavoratore al trattamento economico corrispondente, articolato nelle diverse voci retributive previste dalla contrattazione collettiva (o da altra fonte), non può, tuttavia, influenzare - ex post - l’originaria intenzione delle parti di destinare il corrispettivo pattuito a compensare, appunto, integralmente l’opera prestata.
In altri termini, nel rapporto che sia stato qualificato ab origine come autonomo e sia stato convertito dal giudice in lavoro subordinato, il diritto del lavoratore alla retribuzione trae origine esclusivamente dalla previsione del contratto collettivo di categoria in relazione al livello riconosciuto, e non più dal contratto individuale formalmente intercorso tra le parti. In tal caso viene in considerazione il solo criterio dell’assorbimento, imperniato sul “trattamento globale più favorevole” tra quello di fatto goduto e quello spettante, sulla base dei minimi contrattuali.
Nell’ipotesi, dunque, della conversione di un contratto di lavoro autonomo in un rapporto di lavoro subordinato il giudice deve verificare il rispetto dei minimi retributivi previsti dal contratto collettivo rispetto alla categoria spettante, mentre non può applicare ex post principi vigenti per il diverso schema negoziale della subordinazione; tuttavia, ciò non esclude che, in presenza di contrattazione tra le parti o semplicemente di offerta del datore di lavoro il trattamento corrisposto di fatto, se più favorevole, sia mantenuto e si sostituisca in toto a quello contrattuale (salvo prova che la maggiore retribuzione erogata sia stata frutto di un errore essenziale e riconoscibile dell’altro contraente).
Avv. Guido Brocchieri
Il contenuto di questo articolo non costituisce un parere legale, ma ha funzione informativa. Per una consulenza legale personalizzata, contattare lo studio all’ e-mail info@dongpartners.eu o al telefono +39 06 916505710. © Dong & Partners International Law Firm, Tutti diritti riservati#dongpartners
Comments